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Condominio e videosorveglianza

Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese dalla telecamera di un condomino.

La quinta sez. penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 34151 del 12 luglio 2017 è intervenuta in materia di privacy in ambito condominiale risolvendo in chiave interpretativa un delicata questione giuridica sorta a seguito dell’installazione di un impianto di videosorveglianza in un condominio.

Il caso di specie riguarda il condomino di uno stabile condiviso con una coppia di coniugi condannato in primo grado dal Tribunale di Palermo per il reato di cui all’art. 615 bis c.p. (interferenze illecite nella vita privata) per aver installato una telecamera sul muro del pianerottolo condominiale, nella parte contigua alla porta d’ingresso della propria abitazione, con cui inquadrava la porzione di pianerottolo prospiciente la porta suddetta, nonché “la rampa delle scale condominiali e una larga parte del pianerottolo condominiale”, in tal modo videoregistrando chiunque entrasse nel raggio d’azione della telecamera. Tale ricostruzione viene poi confutata in sede di appello dalla Corte di merito che assolve il condomino per insussistenza del fatto.

Naturalmente la controversia arriva in Cassazione e la Suprema Corte conferma la decisione della Corte di appello sostenendo che la telecamera non ha ripreso nessuno spazio privato del ricorrente avendo inquadrato solamente una parte del pianerottolo condominiale e la rampa delle scale. In particolare così come sostenuto dalla Corte di merito il pianerottolo condominiale non rientra nella nozione di privata dimora, di cui all’art. 614 c.p. (richiamato dall’art. 615 bis c.p.), e la telecamera in argomento puntata sulla rampa di scale poste accanto alla porta d’ingresso dell’imputato ha un raggio di ripresa che evidentemente interessa soltanto l’uscio di casa del ricorrente e parte del pianerottolo, tant’è che neppure la rampa di scale che porta al piano superiore viene completamente ripresa.

La Suprema Corte sostiene che l’art. 615 bis c.p. è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p.; vale a dire, nell’abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle “appartenenze” di essi. Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza. Peraltro, proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio.

Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (in senso conforme ci sono diversi precedenti come Cass. n. 5591 del 10/11/2006; Cass. n. 37530 del 25/10/2006; Cass., n. 44701 del 29/10/2008).

Sebbene la presente decisione della Cassazione faccia riferimento nello specifico alla concreta configurabilità del reato di cui all’art. 615 bis del c.p. la materia non è affatto pacifica, poiché in tali ipotesi potrebbero comunque configurarsi delle violazioni della normativa in materia di protezione dei dati personali a prescindere dalla configurabilità dell’interferenza illecita nella vita privata ed il garante più volte si è espresso in modo non del tutto conforme alle decisioni della Suprema Corte.

Innanzitutto nello specifico settore della videosorveglianza in ambito privato assume una particolare rilevanza la videosorveglianza nei condomìni oggetto spesso di diverse richieste di chiarimenti al Garante privacy e di provvedimenti specifici della stessa Autorità.

Come è noto è consentito ai condomìni di installare videocamere, ma le riprese di aree condominiali, escluso i portoni o cancelli di ingresso, sono ammesse esclusivamente per preservare la sicurezza delle persone e la tutela dei beni da concrete situazioni di pericolo e, comunque, solo dopo aver verificato che altre misure non siano adeguate.

Nel caso, quindi, in cui il sistema di videosorveglianza sia installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate, in particolare, tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza. Tra gli obblighi che valgono anche in ambito condominiale vi è quello di segnalare le telecamere con appositi cartelli, eventualmente avvalendosi del modello predisposto dal Garante. Le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, anche in relazione a specifiche esigenze come alla chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio o a periodi di festività. Per tempi di conservazione superiori ai sette giorni è comunque necessario presentare una verifica preliminare al Garante.

Naturalmente è consentita l’installazione di telecamere anche da parte di singoli condomini, purché queste non invadano la sfera privata degli altri condomini. Non è consentita, quindi, la ripresa di aree comuni o antistanti altre abitazioni. In tal caso, difatti, come chiarito dallo stesso provvedimento generale sulla videosorveglianza dell’8 aprile 2010 la disciplina del Codice privacy non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi, risultando comunque necessaria l’adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del Codice, che fa salve le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati). In tali ipotesi il trattamento dei dati viene svolto per fini esclusivamente personali e vi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei ad identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all’interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box).

Benché non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere proprio nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condomini.

Ma la materia è destinata ad avere futuri sviluppi a seguito della sentenza della CGUE (11 dicembre 2014, causa C-212/13, František Ryneš c. Ú adpro ochranu osobních údaj).

Quest’ultima, nel fornire un’interpretazione autentica della nozione di “esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico” in relazione all’utilizzo da parte di una persona fisica di videocamere installate in corrispondenza della propria abitazione per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari della medesima e tale tuttavia da sorvegliare anche lo spazio pubblico prospiciente, con registrazione continua delle immagini riprese, influenzerà le future determinazioni dell’Autorità, specie in merito all’individuazione delle ipotesi rientranti nella clausola di esclusione dal novero del trattamento di dati personali di cui all’art. 5, comma 3, del Codice.

Nel caso di specie, difatti, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, dev’essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.

Secondo i giudici europei la nozione di “dati personali” che compare nella disposizione in esame, va interpretata conformemente alla definizione che figura nell’articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, “qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile”. Per cui è considerata identificabile “la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento (…) ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica”. Di conseguenza, l’immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un dato personale ai sensi della disposizione menzionata nel punto precedente se e in quanto essa consente di identificare la persona interessata. Inoltre non v’è dubbio che un’attività di trattamento dati svolta attraverso un apparato di videosorveglianza che si estende, anche se solo parzialmente, allo spazio pubblico, non può essere considerata un’attività esclusivamente “personale o domestica”.

Probabilmente tale sentenza comporterà un aggiornamento del provvedimento generale in materia di videosorveglianza che potrà avvenire in concomitanza anche dei necessari adeguamenti dovuti all’entrata in vigore del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali.